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Lo scorso ottobre Guillermo Del Toro, regista neo-premio oscar per La forma dell’acqua, in un’intervista a Variety, ha dichiarato:

Ho iniziato ad amare i mostri perché, da bambino, con i mostri non devi pensare troppo. Gli adulti che avrebbero dovuto essere buoni con te si rivelano cattivi. I grandi che avrebbero dovuto proteggerti, ti fanno del male. Ma dai mostri puoi aspettarti proprio ciò che che sembrano volerti fare. Se ti tuffi per nuotare con il fottuto Mostro della Laguna morirai!

I mostri destano interesse da sempre. Non credo esista al mondo nessuna persona che non sia mai stata affascinata, impaurita, condizionata dai mostri, anche se per un periodo assai breve della sua vita. Spesso quindi mi sono interrogato e interessato in prima persona a proposito di questo impressionante fascino e mi sono ritrovato a leggere pareri e articoli sul tema. La maggior parte di essi semplifica, a mio avviso, il discorso indicando due cause principali: la prima è il rapporto con il diverso, la seconda, ancor più scontata, è la paura, la dimensione infernale, la latente minaccia, i sortilegi, la morte, la dimensione inesplorata delle acque profonde e il buio. Tutto vero, per carità, come dargli torto, eppure queste due spiegazioni non mi hanno convinto mai totalmente. Mi sembrava che a questa “soluzione” mancasse un certo ingrediente.

Così questo ottobre, leggendo la dichiarazione di Del Toro, un regista ossessionato dalle creature fantastiche e maligne, posso dire di aver ottenuto quell’ingrediente che cercavo: la coerenza, o meglio, la coincidenza di forma (l’aspetto) e contenuto (le intenzioni del mostro). Un mostro è per definizione ripugnante, pauroso e minaccioso e quindi capace di malefatte.

Il cinema è pieno di esempi come questo.

Il 1915 è l’anno di Il Golem di Paul Wegner, prima opera appartenente a quello che verrà chiamato “ciclo dei mostri” (diverso dal giapponese Kaiju eiga, ovvero “ciclo dei mostri giganti”) e a seguire sarà sempre il cinema europeo a portare avanti una tradizione cinematografica ricca di esempi. Tra i tanti che si possono fare, ricorderei il fondamentale contributo dato dal cinema espressionista tedesco con Nosferatu (1922) e una decina di anni dopo Dracula (1931), La mummia (1932) e L’uomo invisibile (1933).

Non possiamo poi prescindere dal citare due creature ormai note nell’immaginario collettivo: il mostro della laguna nera, dall’omonimo film del 1954 diretto da Jack Arnold, poco sopra citato da Del Toro, e Godzilla, sempre dello stesso anno e diretto da Ishiro Honda. L’anno 1954, come si vede, può essere preso come anno spartiacque: a partire da questo momento il cinema dei mostri trova una feconda radice nelle profondità oceaniche. Molte delle creature più mostruose del cinema troveranno il loro habitat nel luogo più oscuro e nascosto all’occhio umano. Le profondità marine saranno fonte inesauribile per la settima arte data la scarsa attenzione scientifica (e non solo) per lo studio dei suoi fondali a metà del ‘900. Diviene così possibile giustificare un enorme mostro marino atomico come Godzilla, dormiente sul fondale da centinaia di migliaia di anni, e una creatura semi dio abbandonata nell’Amazzonia più profonda. Ma il filone dei mostri acquatici resta vitale anche nei nostri anni: il grande squalo bianco di Spielberg, il ciclo Cloverfield e il leviatano di Pirati dei Caraibi, tanto per citarne qualcuno.

Tornando alla relazione tra uomo e mostro, Mary Shelley descrisse così la reazione del Dottor Frankenstein davanti alla sua neonata creatura:

Avevo lavorato duro per quasi due anni, con il solo fine di infondere la vita in un corpo inanimato. Per questo mi ero privato della salute e del riposo. Lo avevo desiderato con un ardore che andava al di là di ogni moderazione; ma ora che avevo finito, la bellezza del sogno scompariva, e un orrore e un disgusto affannoso mi riempivano il cuore. Incapace di sopportare l’aspetto dell’essere che avevo creato, di corsa uscii fuori dalla stanza e continuai un bel po’ a camminare su e giù per la mia camera da letto, incapace di convincermi a dormire.

Quello di Frankenstein è solo uno dei tanti esempi che si possono fare delle reazioni dell’uomo di fronte all’orrido ed è anche uno dei tanti esempi di mostri che compiono gravi misfatti, un mostro quindi che si sommerebbe a quelli citati in precedenza se non fosse per un particolare: la creatura di Mary Shelley è anche l’esempio che rende fondamentale la diversità consapevole, da parte del mostro, nelle relazioni che intercorrono tra esso e l’uomo. Prima di morire infatti il mostro dichiara che il suo odio è frutto del disprezzo e della rabbia che gli uomini, primo tra tutti il suo stesso creatore, gli hanno rivolto contro solo per le sue sembianze. Mary Shelley descrive tutto questo nel 1818, il cinema ci arriverà solo quarant’anni dopo la sua nascita, con King Kong (1933): le creature non sono cattive per definizione e non lo sono nemmeno per natura (nella maggior parte dei casi), ma lo diventano nello scontro con l’uomo cieco ed egoista.

Chi ha visto La forma dell’acqua però non potrà non essersi accigliato leggendo la frase conclusiva della dichiarazione di Del Toro.  Vi è infatti un’evidente contraddizione: nel suo recentissimo film, Elisa, la protagonista, non solo fa il bagno con il “fottuto Mostro della Laguna”, ma si spinge molto più in là. Questo perché ultimamente si è tentato di snaturare un genere come quello fantastico o horror al fine di creare metafore della realtà più o meno funzionanti. Così il Mostro della laguna avvolge Elisa non per strangolarla e affogarla, ma per baciarla e fare con lei l’amore. Non più ostilità nei confronti del diverso, bensì comprensione e affetto.

E la coerenza o coincidenza tra forma e “contenuto” direte voi? Probabilmente regge solo sulla carta, dico io, oppure alla frase di Del Toro manca un pezzo: i mostri sono allo stesso tempo un’emanazione (vengono creati, narrati e descritti dall’uomo) e l’alter ego negativo dell’umanità (una sorta di Gollum tolkeniano dell’uomo), e come gli adulti (gli uomini) “che avrebbero dovuto proteggerti, ti fanno del male” così molti mostri (non tutti) anziché fare del male, ti proteggono (King Kong), si innamorano (La forma dell’acqua) o si autodistruggono (Frankenstein).

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