Abbiamo già trattato il tema della trasformazione architettonica e urbanistica di Milano negli ultimi venti anni. Una caratteristica di tale mutazione è l’impronta stilistica che ogni singolo architetto che ha partecipato al cambiamento ha voluto imprimere. In fondo, uno degli aspetti preminenti dell’architettura resta la sua forza espressiva e, perché no, il suo valore estetico. E’ vero che l’architettura determina i modi di vivere delle persone in termini di socialità e fruizione degli spazi, ma nel giudizio complessivo di una città la sua fortuna estetica la fanno anche le singole opere dei progettisti; cosa sarebbe, infatti, Parigi senza il Centre Pompidou o Londra senza il 30 St Mary Axe? Non si possono certo considerare due “monumenti” della città, intesi in senso classico ma, certamente, ne rappresentano segni di forte riconoscibilità e modernità. Rappresentano le due città nella loro ultima stratificazione architettonica.
Milano per sua specifica storia è sempre stata piuttosto avulsa da queste modalità di azione e progettazione. L’ultima grande epoca di fortune architettoniche meneghine, gli anni ’50, ha visto affiancate, e talvolta frapposte, personalità piuttosto schive che hanno giocato nel modo più raffinato possibile con la progettazione, sviluppando a uno stile “borghese” fatto di segni stilistici intellettualistici e di assoluta perfezione compositiva. Abbiamo dunque oggi un patrimonio di edifici pienamente milanese, pieni di estetica composta cristallizzata da particolari compositivi curatissimi ma di difficile fruizione al grande pubblico, a chi non ha l’occhio allenato sui temi compositivi cari alla progettazione. I vari Gio Ponti, Caccia Dominioni, Gardella, Asnago&Vender, BBPR, Portaluppi, hanno lasciato assolute perle di progettazione sparse per la città, ma raramente iconiche e rappresentative per la città; credo si possano citare solo la Torre Velasca e il Pirellone come esempi di grandi segni lasciati nel tessuto urbano. Nel sottolineare il valore architettonico degli architetti sopra citati bisogna, però, riconoscere che si sono imposti soprattutto come progettisti di edifici residenziali, attori della ricostruzione post bellica del centro storico con grandi condomini per la ricca borghesia milanese. Raramente hanno avuto l’opportunità di imporsi con opere pubbliche o private in cui esprimere le proprie linee guida progettuali; i casi delle due torri di BBPR e Gio Ponti, che effettivamente sono i progettisti che hanno ampliato di più il loro campo di applicazione, rimangono casi isolati nel complesso della ricostruzione milanese.
Dubito in ogni caso che, ad esclusione di qualche studente di architettura, qualcuno possa paragonare uno degli edifici milanesi degli anni ’50 con i lavori che contemporaneamente stavano portando a termine, in Europa e nel mondo, Mies o Le Corbusier o Aalto, in termini di riconoscibilità estetica e di importanza per il futuro dell’architettura.
Negli ultimi decenni il mondo della progettazione si è evoluto e il regionalismo architettonico è stato definitivamente soppiantato dal gusto contemporaneo per un’architettura che ritroviamo allo stesso tempo e in modi simili in tutte le grandi metropoli del mondo; un gusto globalizzato che si differenzia per la lettura che il singolo progettista fa della contemporaneità, in termini di uso dello spazio, dei materiali, delle tecnologie e dei topos architettonici classici. La fortuna degli architetti di oggi è proprio quella di poter progettare e riprogettare in ogni angolo del mondo applicando il proprio gusto e il proprio linguaggio. E in aggiunta a ciò gli architetti operano oggi in un periodo in cui la città sta riacquistando grande centralità politica e governativa; come fu per le poleis greche o per le città stato italiane, la globalizzazione ha rimesso in primo piano il livello più “basso” e puntuale di governo: quello delle città, che esprimono il legame più profondo con il territorio e possono sviluppare politiche velocemente attuabili e meno determinate da sovrastrutture economiche e logiche mondiali.
Ed ecco che allora ogni città acquisisce ancora di più oggi una propria specificità, un proprio valore che è determinato anche dalla propria scelta di sviluppo e, al termine di questo processo, dalla scelta dei progettisti che ne dettano il proprio linguaggio contemporaneo e futuro.
In questo senso, non è banale affidare la progettazione e i grandi piani di sviluppo ad un progettista piuttosto che ad un altro; la scelta di oggi ricade sull’immagine che vogliamo avere della nostra città domani. Ecco che allora il Bosco Verticale, indipendentemente dal giudizio estetico e funzionale, non è solo un edificio di Milano, ma è l’edificio che ha reso Milano una città alla pari delle altre metropoli europee e mondiali, con i quali condivide e cerca di risolvere le tematiche proprie del futuro: la sostenibilità, la condivisione degli spazi, il verde, i metodi di trasporto interni alle città. Forse l’aspetto più interessante di questo edificio, da milanese, è stato proprio questa capacità di risvegliare la vis creativa per risolvere un problema, approccio progettuale tipico della nostra città (come indica l’impulso che è stato dato in passato dai designer milanesi ai propri campi di indagine). E allora oggi che ci troviamo di fronte ad uno sviluppo in atto, già iniziato, non ancora terminato e con ancora grandissimi spazi di manovra ed azione a chi dovremmo affidarci per continuare su questa strada? A chi dovremmo affidarci per dare delle risposte sulla città del futuro? A chi dovremmo affidarci per dare riconoscibilità ad una città che è appena uscita dalla propria storia di schiva borghesia architettonica? A chi dovremmo affidarci per creare un linguaggio specifico della città e, magari, per dar vita a qualche nuovo progetto iconico che consegni a Milano il proprio Borneo o la propria Potsdamer Platz?
Sono aspetti questi importanti per una città che si appresta a varare una profonda fase di progettazione sugli Scali Ferroviari, grandi aree inutilizzate dislocate in diverse parti del tessuto urbano. Aree pubbliche, su cui il Comune deve garantire standard importanti e su cui si gioca il futuro della città. A Milano negli ultimi anni sono intervenuti, per lo più per progetti privati, architetti importantissimi come Chipperfield, Herzod &De Mouron, Sanaa, Eisenman, Pei, Zaha Hadid, Libeskind, Isozaki, Rem Koolhaas solo per citarne alcuni; quello che ci chiediamo è chi potrà portare avanti questa rinascita, quali sono le personalità e gli Studi più interessanti, quali sono i linguaggi, molto spesso differenti, che potremo vedere nella Milano del 2050. E vogliamo farlo con una serie di focus, guardando l’architettura oggi, cercando di sognare, come in un film, la città di domani.