L’autobus su cui viaggio taglia le sei corsie di una immensa autostrada. Attraverso il grigiore di un lunedì mattina di metà febbraio, smisurati cartelloni pubblicitari esortano a sostenere gli atleti nazionali alle Olimpiadi invernali. Lo schermo a bordo trasmette incessantemente una confusione di colori e suoni in un continuo alternarsi di spot e video della k-pop star del momento. I miei compagni di viaggio si dividono tra chi riesce a rubare qualche minuto di sonno in più e chi è immerso nello schermo del proprio smartphone. Il monotono paesaggio che attraversiamo è fatto da giganti di vetro, metallo, cemento, enormi schermi che ti bombardano 24/7 con pubblicità di prodotti di bellezza o gadget tecnologici, viali trafficati all’inverosimile. Seoul ti accoglie con un’atmosfera da metropoli degna di fare da scenografia ad un futuro distopico alla Blade Runner.
Per qualche giorno chiamo casa un monolocale al 14° piano di un immenso edificio a Namyeong-Dong, un’area commerciale a una fermata dalla stazione centrale della capitale. Il proprietario, tramite Airbnb, mi ha fatto avere una dettagliatissima guida su come raggiungere e accedere all’appartamento. Nella nazione patria dell’automazione ad ogni livello, i nostri rapporti si limiteranno a questo.
L’abitazione in sé è accogliente e funzionale, un soppalco ospita i letti e l’ampia stanza ha una parete vetrata che offre una vista sulla zona ovest della città, dominata dalla Seoul Tower. L’angolo cottura, nascosto in un’armadiatura, è limitato ad un lavabo ed un piano di cottura ad induzione con due fuochi.
Il riscaldamento nelle case coreane è a pavimento dall’età del bronzo, periodo storico al quale si fanno risalire i primi esempi di “ondol” (온돌), corrispettivo domestico dell’ipocausto dell’antica Roma.
Ancora molto diffuso è il dormire su sottili materassi stesi sul pavimento per sfruttarne al meglio il calore, tuttavia nelle case moderne sono sempre più comuni i letti “occidentali” o degli strani ibridi, “stone bed”, nei quali una lastra di pietra, riscaldata elettricamente, sostituisce le nostre doghe in legno.
La superficie degli appartamenti qui è conteggiata in Pyeong, pari a circa 3,3 mq, il mio ne conta più o meno 15, un taglio piuttosto comune per le abitazioni degli impiegati della capitale. Nelle prime 30 città al mondo per costo della vita, potersi permettere una casa di proprietà a Seoul è appannaggio delle classi più agiate. Oltre le normali formule di affitto, se hai la fortuna di essere assunto da uno dei grandi conglomerati che dominano la vita economica (e sociale) del paese puoi scegliere di vivere in una casa di proprietà dell’azienda. Più difficile è la vita di studenti universitari e giovani lavoratori.
Una soluzione molto diffusa sono i mini appartamenti di una stanza, completamente accessoriati negli Officetel (crasi di office ed hotel). Questi edifici, che sorgono solitamente in prossimità delle stazioni della metropolitana o in zone commerciali, raggruppano nello stesso complesso abitazioni, uffici, studi medici, piccoli supermercati e altre attività commerciali. Sono dei veri e propri alveari, spesso collegati da passaggi interni ai tunnel della metropolitana.
I minuscoli alloggi degli Officetel sono però delle residenze di lusso se paragonati ai Goshiwon. Nati come “panic room” per studenti fuorisede in cerca di concentrazione assoluta per la preparazione ai difficilissimi esami d’ammissione agli atenei più quotati, sono ora diffusamente abitati da universitari e lavoratori in cerca di una sistemazione economica. Lo spazio abitabile in questo caso si limita ad una stanzetta di pochi metri quadri fornita di tavolo, letto, armadio, un piccolo frigo e un blocco prefabbricato per il bagno che comprende wc, lavabo e soffione per la doccia. Non è raro che persone che li abitano, oppresse da una società che pretende di eccellere ad ogni livello e da un’etica lavorativa che impone lunghe ore di straordinari, spesso senza retribuzione, perdano qualsiasi contatto sociale. Il livello di alienazione e isolamento è tale che sono stati segnalati casi in cui i proprietari dei Goshiwon hanno trovato i corpi senza vita di loro affittuari addirittura settimane dopo il decesso. Questo tipo di problematiche sociali generano un misto tra claustrofobia, inadeguatezza, isolamento e senso di fallimento che contribuiscono ad un aumento esponenziale dei suicidi, soprattutto di giovani sotto i 30 anni (la Corea è al 10° posto tra le nazioni con la più altapercentuale di suicidi al mondo e la prima tra i 31 paesi più sviluppati).
Muovendosi verso la cintura metropolitana di Seoul sulle grandi arterie di comunicazione per chilometri il paesaggio è ininterrottamente scandito dalle varie città dormitorio. Lo sviluppo di questi agglomerati urbani, cresciuti in un breve lasso di tempo attorno a nuclei urbani preesistenti, fu programmato a fine anni ’60 per contrastare lo sviluppo incontrollato di una metropoli che era passata dai 1.57 milioni di abitanti nel 1955 ai 2.45 del 1960 e che stava assistendo ad un incremento di 900.000 persone in soli 5 anni. Negli anni ’90 il grande boom economico fu accompagnato dalla costruzione di quartieri privati per i lavoratori più abbienti della middle class in espansione.
Queste cittadelle sono composte da gruppi di 7-8 condomìni da una trentina di piani ognuno, con guardie private 24 ore su 24, rete stradale interna, parcheggi da supermercato, negozi di vicinato e servizi di manutenzione dedicati.
Entrare in uno di questi complessi è come farsi largo in una SimCity trasposta nella realtà, gli edifici dello stesso sobborgo sono esattamente uguali gli uni agli altri distinti solo da enormi numeri civici In facciata.
Gli appartamenti hanno dei tagli molto più grandi rispetto a quelli che si possono trovare nelle zone più centrali di Seoul. L’anonimato delle facciate si stempera negli interni accoglienti e molto personalizzati.
Nonostante l’incessante rinnovo del patrimonio edilizio sud coreano, la vita media di un edificio per abitazioni di questo si aggira attorno ai 30 anni passati i quali viene demolito per essere rimpiazzato da sistemi abitativi più moderni, gli usi e gli spazi domestici sono rimasti invariati da secoli. Dopo aver lasciato le scarpe all’ingresso, in uno spazio solitamente ad una quota più bassa rispetto al resto dell’appartamento, si entra nel locale principale della casa, un ampio soggiorno dove solitamente è presente un basso tavolo fruibile sedendosi a terra su sedute imbottite.
Lo schema di distribuzione, il modo di vivere e alcune soluzioni tecnologiche delle abitazioni della metropoli più “moderna” al mondo richiamano l’hanok (한옥) la casa tradizionale coreana. Questo tipo di abitazione, che dal 14° secolo viene costruita ancora oggi in maniera quasi invariata, è profondamente influenzato dal locus nel quale viene edificato. Il dialogo tra l’hanok e la natura che lo ospita non si ferma però al suo intelligente orientamento. I sapienti costruttori della dinastia Joseon crearono alcuni accorgimenti che ancora oggi sono applicati nella progettazione di case a basso impatto energetico. La casa è retta da pilastri in legno che poggiano su basamenti in pietra che emergono dal terreno. Questo sistema di costruzione permette di ospitare l’ondol, il riscaldamento a pavimento, funzionando nel frattempo come un pavimento flottante, diminuendo la trasmittanza termica con il terreno. Lo scheletro dell’edificio è in legno, mentre le tamponature delle pareti sono in argilla, materiale dalla nota proprietà isolante che minimizza la dispersione di calore in inverno e mantiene la freschezza nelle giornate estive.
Tutto attorno al perimetro dell’hanok corre un porticato che in alcuni punti si apre in loggiati pavimentati in legno. Grandi porte finestre completamente apribili favoriscono la permeabilità tra l’ambiente circostante e i locali interni. Gli infissi sono doppi: l’anta più esterna è una tavola piena in legno, quella più interna è composta da un’intelaiatura in legno che regge fogli di Changhoji (창호지), un tipo di carta prodotta con le fibre vegetali del gelso, estremamente resistente, con buona capacità di trasmettere la luce e sorprendentemente isolante.
La contemporaneità dell’hanok non risiede tuttavia solo nelle soluzioni tecniche adottate ma anche in un concetto di minimalismo pratico. Le linee semplici e pulite dell’edificio e gli accorgimenti tecnici illustrati contribuiscono ad armonizzare il costruito permettendo l’ingresso degli elementi che lo circondano. In questo senso anche il patio non è occupato da un giardino ma viene lasciato intenzionalmente vuoto, consentendo all’ambiente circostante di penetrarvi.
L’ambiente costruito si trova così a rispecchiarsi nella società coreana, sempre in bilico tra tradizione millenaria e futuro, a volte spersonalizzante e poco umano, abbracciato senza esitazione. Una società che ha conosciuto in 60 anni uno sviluppo vertiginoso ma che ancora ha in sé memoria di uno stile di vita estremamente povero e contadino.