Qualche settimana fa sono partito per il Giappone, consapevole che i tempi stretti del mio soggiorno non mi avrebbero permesso di girare video ho deciso che avrei sfruttato l’occasione per fare più scatti possibili, sia per avere qualche ricordo della mia prima volta in terra nipponica sia per realizzare un progetto fotografico.
Premettendo che non sono assolutamente un fotografo, e ho troppo rispetto della professione per avvicinarmi a tale definizione, ho collezionato un numero davvero elevato di scatti, più di quanti avrei immaginato e così complice una riflessione puramente stilistica ho deciso che il progetto doveva essere scisso in due distinti: uno che ripercorresse l’anima più tradizionale del Giappone, ed uno più spinto sull’idea futurista che spesso accompagna la visione delle metropoli orientali, specialmente Tokyo.
Con questo articolo voglio mostrarvi il progetto ” 寂 – Sabi” legato al Giappone tradizionale e che in origine era l’unico a dover vedere la luce.
Sabi è un antico termine estetico utilizzato in Giappone per indicare un rapporto tra la bellezza e il passare del tempo, serenità e solitudine. La parola Sabi deriva da più fonti: sabiteru che significa arrugginire e in termini più estesi invecchiare, susabi che indica desolazione e sabishi che possiamo tradurre con “solo”.
Questo termine trovò largo impiego in poesia, dove il termine sabi riportava alla mente immagini di scene solitarie in cui si respirava un’atmosfera di malinconia ma allo stesso tempo di serenità.
” La solitudine (sabishisa) – colore essenziale della bellezza che non si può definire” sacerdote Jakuren
Queste definizioni di Sabi mi sembrava di averle respirate nei libri di Murakami, ma visivamente erano le notti giapponesi raccontate nelle immagini dei registi e fotografi di casa a restituirmele alla mente ed erano anche il fulcro del mio interesse. In particolar modo avevo due grandi riferimenti.
Il primo non poteva essere che Miyazaki e lo Studio Ghibli in generale, l’autorialità per eccellenza nel campo dell’animazione e della narrazione.
Le references che avevo negli occhi erano le immagini notturne della Città Incantata, quando la giovane Chihiro si ritrova a farsi largo tra le ombre e gli spettri che iniziano a popolare il mondo con l’arrivo del buio.
Proprio dai disegni di quelle ombre è nata l’idea di scattare molte volte a mano con tempi di esposizione che per forza di cose avrebbero dato un effetto ghost o di movimento sulle persone all’interno dei vicoli, lo si evince bene nella terza e nella quarta fotografia.
La prima e la seconda invece cercano di ricostruire le ambientazioni Ghibliane attraverso i colori e le luci delle lanterne, davvero suggestive e che hanno reso l’atmosfera di ogni serata a Kyoto unica.
In particolare se un domani doveste visitare la città, per una passeggiata serale vi consiglio il quartiere di Gion e il lungofiume, due delle principali location in cui ho concentrato le mie fotografie.
A Tokyo invece ho seguito i consigli della seconda grande “guida” giapponese a cui mi sono affidato, il d.o.p. e fotografo Masashi Wakui.
Masashi Wakui ha uno stile molto personale che ricorda appunto le tele Ghibli, agisce quasi unicamente a Tokyo nei quartieri di Shinjuku e Shibuya, così una volta atterrato nella capitale, per la gioia della mia ragazza sempre più sfinita dal tour de force a cui l’ho costretta, non ho potuto perdere l’occasione di esplorare ogni vicolo e stradina finendo per dimenticarmi di dormire.
Nella fase di postproduzione ho cercato il più possibile di avvicinarmi al risultato di Masashi, ma ad un certo punto del workflow ho preferito non incaponirmi e personalizzare i miei scatti rendendoli autonomi piuttosto che omologarli ricercando un risultato che non trovavo (anche perchè mi sfuggono ancora dei passaggi delle sue lavorazioni, e questa mancanza rendeva le mie foto decisamente più piatte e anonime rispetto a quelle del giapponese).
Direi che è arrivato il momento di lasciarvi alle foto, nel prossimo appuntamento entrerò nel dettaglio della strumentazione e l’iter di scatto che ho seguito, oltre che presentarvi il progetto “Futurista” che riprende un’idea delle atmosfere giapponesi assaggiate in cult come Blade Runner e Akira.
Grazie Hayao, Hideo, Haruki e Akira per i tanti anni passati insieme.
per vedere più foto di Manuel Camia: