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Oggi abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche chiacchiera con Chiara Brivio, una delle ragazze volontarie partite con Fondazione Francesca Rava per aiutare la popolazione di Haiti.
Non è una tematica che si sposa con la creatività o l’arte, i temi che solitamente trattiamo nei nostri articoli, ma come associazione culturale vogliamo sottolineare come esperienze simili portino un sicuro arricchimento ed incentivarle per noi è solo un piacere!

Chiara con i bambini della Baby House – Port Au Prince

Ciao Chiara, raccontaci brevemente la tua esperienza di volontariato.
Come hai scoperto Fondazione Rava e cosa ti ha spinto a partecipare ad un progetto umanitario?

Ciao Chora!
Grazie per l’opportunità di raccontare questa bellissima esperienza di volontariato ad Haiti.
Ho scoperto Fondazione Francesca RavaN.P.H Italia Onlus grazie al profilo instagram di Martina Colombari, madrina della Fondazione. Per alcuni anni ho contattato diverse associazioni volontariato di Milano per realizzare questo tipo di esperienza, ma purtroppo richiedevano almeno un mese di tempo come volontaria direttamente sul posto. Per chi come me lavora è difficile potersi assentare per più di due settimane.
Fondazione Francesca Rava organizza campus in diverse località dell’America Centrale e Latina, a partire da 10 giorni a fino a 3 settimane circa, a seconda dei periodi dell’anno.
Io e i miei compagni di viaggio abbiamo trascorso 10 giorni ad Haiti, isola caraibica del’America centrale, trascorrendo le nostre vacanze di Natale con i bambini e i ragazzi di Port Au Prince e Kenskoff.
Sono sempre stata una persona sensibile ma mai avrei pensato di partire per un viaggio simile. La spinta maggiore è arrivata 6 anni fa, poco dopo la perdita di mio padre, una delle persone più umili e sensibili a questo tipo di tematiche che abbia mai conosciuto. Ero convinta e ho avuto la conferma che dedicandomi agli altri mi sarei sentita ancor più vicina a lui.

Avevi già vissuto esperienze simili?

È la prima volta che svolgo questo tipo di attività e sicuramente non l’ultima! Ora che ho realizzato uno dei miei sogni nel cassetto, ho in mente per gli anni futuri un altro progetto di volontariato, questa volta in Italia.

Che ruolo avevi concretamente?

 
Ho giocato con i bambini della Baby House (orfanotrofio che ospita bambini abbandonati, senza famiglia o con disabilitá fisiche e psichiche fino ai 5 anni), gonfiato palloncini, soffiato bolle di sapone, disegnato e colorato. L’affetto che trasmettono questi bambini è incredibile. È stato bello inoltre poter giocare e strappare un sorriso ai bambini dell’ospedale Saint Damien, a Port Au Prince (ospedale pediatrico voluto da Padre Rick nel 2006, realizzato grazie al contributo di Fondazione Francesca Rava), in particolare ai bambini accolti nella Stanza dei Pesci. Qui si trovano bambini abbandonati che soffrono di gravi malformazioni. È stata un’emozione indescrivibile vederli sorridere per delle semplici bolle di sapone e per l’affetto ricevuto da noi volontari.

Oltre alle attività ricreative con i bambini ho avuto la fortuna di conoscere i ragazzi ospitati nella Casa NPH St. Hélène a Kenskoff, località di montagna dove ho trascorso tre giorni tra i quali il capodanno.
Qui, oltre alle attività ricreative, abbiamo preparato la pizza e pulito i polli da cucinare. A pranzo eravamo ospitati a casa dei ragazzi dove abbiamo assaggiato i loro piatti tipici. A capodanno abbiamo festeggiato con faló, canti e balli.

Bambina della Stanza dei Pesci – Ospedale Saint Damien – Port Au Prince


L’episodio o gli episodi più toccanti che hai vissuto insieme alla Fondazione?

Il ricordo più intenso è legato a Citè Soleil, lo slum piú povero di Port Au Prince che ospita circa 300.000 donne, bambini e uomini. La situazione è davvero disastrosa. La popolazione vive in case costruite con pezzi di lamiera appoggiati tra loro. I beni di prima necessità scarseggiano, la rete fognaria è a cielo aperto e il tasso di mortalitá infantile è alto. Inoltre gli slum sono gestiti dalle gang criminali. Fondazione Francesca Rava si impegna con il progetto Fors Lakay nella costruzione di casette in muratura e dell’ospedale Saint Marie. Noi volontari abbiamo portato un aiuto concreto distribuendo beni di prima necessità, pasta secca, shampoo, giochi e vestiti. Durante la distribuzione organizzata per gruppi, alcuni uomini si sono impossessati del camion della Fondazione prendendo con loro scatoloni contenenti vestiti e giochi che dovevamo ancora distribuire. In pochi secondi è scattato il caos: centinaia di bambini e donne con le braccia tese verso il camion urlavano e facevano la lotta per ottenere qualsiasi cosa riuscissero a prendere.

Bambini a piedi nudi, ragazzi che si strattonavano e uomini che correvano con sacchi di pasta bucati sopra le spalle, perdendo cibo per strada.
Noi immobili, non potevamo più far niente e ci siamo sentiti così piccoli, inutili e pieni di rabbia per non aver portato a termine il nostro compito.
Quando la situazione si è calmata i bambini dello slum ci hanno mostrato le loro “case”. Molti di loro avevano sete, facevano cenno portandosi il dito alla bocca. È stata una stretta al cuore non poter dare a loro l’acqua delle nostre bottiglie, sapendo che se l’avessimo data a un bambino ne avremmo avuti altri venti, trenta, cinquanta da accontentare e purtroppo non era possibile.
L’esperienza a Citè Soleil è stata forte, mi ha mostrato il vero significato della parola “sopravvivenza” e al tempo stesso mi ha dato carica, voglia di aiutare e di fare di più per gli altri.

Centro Port Au Prince, distrutto dopo il terremoto del 2010

 

Case in muratura – slum Citè Soleil – Port Au Prince

Che cosa pensi di aver trovato di unico scoprendo questa realtà?

Questo viaggio per me è stato come una medicina, mi ha aiutato a capire me stessa e a fare un punto sugli aspetti positivi e negativi della vita. Mi ha fatto ragionare su l’enorme fortuna che abbiamo nel poter scegliere cosa fare e che strada seguire. Sembrano aspetti scontati ma non si comprendono pienamente fino a quando non si vivono in prima persona.
Questi nuova prospettiva ha contribuito concretamente a una svolta significativa, scegliendo di cambiare lavoro.
Non c’è giorno in cui non pensi ai bambini di Haiti, a quello che ho visto e sentito con il cuore. Non c’è giorno in cui non vorrei esser la con loro. Prima di partire l’idea di base era quella di aiutare chi ha davvero bisogno. Tornando mi sono resa conto che in realtà è stata Haiti ad aver aiutato me.

Bambini dello slum Citè Soleil – Port Au Prince

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