Ciao Dario e grazie per il lavoro che ci presenti.
Qualche anno fa ci avevi mostrato alcune delle tue prime foto di viaggio; quella volta si trattava di un viaggio in Bulgaria. Oggi ci mostri il tuo ultimo progetto fotografico in Armenia.
Ti chiedo innanzitutto cosa ti abbia attratto in questo luogo, non proprio consueto, e cosa ti ha colpito di questo paese poco conosciuto ma dalla storia lunghissima e molto complicata.
Ciao Chora, grazie a voi per l’opportunità di poterlo presentare. Devo subito dire che è stato un viaggio in cui sono stato accompagnato da due miei amici, entrambi architetti. La scelta è partita da me, prediligo viaggiare in paesi meno battuti dal turismo di massa, in cui è più facile entrare in contatto con la cultura e la popolazione che vive in questi luoghi, e con entusiasmo anche Marco e Martino si sono uniti alla partenza. Il Caucaso in particolare mi interessava per la curiosa posizione geografica in cui si può ritrovare un mix di influenze culturali molto diverse tra loro. L’Armenia nello specifico è stata una scoperta continua, sia prima della partenza informandoci quel tanto che bastava per non essere completamente impreparati, sia durante il viaggio, ma anche a casa, riguardando le foto e mettendo insieme i pezzi del diario.
Tra le cose che mi hanno colpito di più sicuramente c’è l’identità nazionale, che si esprime in molte sfaccettature: dalla religione, alla cultura, alla lingua, al cibo e anche all’architettura. è stato poi immediato instaurare un confronto con la nostra cultura italiana e trovare molti aspetti che ci uniscono, soprattutto in vari modi di fare.
Guardando i tuoi lavori mi sembra di percepire un’attrazione per luoghi appartenenti alla ex Unione Sovietica; Armenia appunto, ma anche Bulgaria, Lettonia, Estonia (ce ne sono altri?).
Cosa ti affascina di quei luoghi? Trovi dei fili conduttori sociali, culturali, architettonici?
É vero, negli ultimi viaggi in qualche modo sono stato in vari paesi dell’ex unione sovietica, oltre a quelli che hai citato sono stato anche in Georgia (durante lo stesso viaggio) e in Polonia. Devo dire che è stato un po’ il caso che mi ha portato negli ultimi anni a scoprire questi paesi, insomma non è stata una mia precisa intenzione, ma mi ci sono ritrovato e ultimamente è anche quasi una ricerca inconscia di questi luoghi. Non avevo un progetto fotografico preciso da realizzare in questo senso, ma sto collezionando molte immagini e si sta formando una raccolta a cui mi piacerebbe porre un ordine ben definito. Mi affascina il fatto che molte differenti culture, ognuna con le proprie identità ben distinte, siano state sottoposte ad un’unica sovrastruttura internazionale che ha tentato vigorosamente di uniformare il modo di vivere delle persone. È possibile in questo senso trovare molti punti di contatto tra uno stato e l’altro. Ciò che rimane ora è soprattutto l’architettura, sia con edifici in disuso, in particolare i monumenti sovietici sono davvero impressionanti, ma anche le strutture che ancora hanno funzione attiva. È stato notevolmente interessante scoprire il modo in cui molte nazioni hanno reagito al crollo del regime, ognuna in modo differente, passando dal cancellare ogni traccia del recente passato, al riutilizzo a puro scopo utilitario di ciò che poteva essere sfruttato e che era funzionale al nuovo stato.
La tua formazione universitaria è da architetto. Probabilmente durante l’università ti hanno ripetuto spesso che le cose fondamentali per un architetto sono viaggiare e guardarsi intorno con sguardo critico e attento. Hai portato alle estreme conseguenze questo concetto occupandoti di fotografia come prima occupazione lavorativa. Cosa ti è rimasto del tuo bagaglio di studi nel lavoro che fai oggi? Anche nel progetto che ci presenti sull’Armenia mi sembra evidente il valore preminente che dai all’architettura all’interno della foto.
Mi è rimasto il modo di vedere le cose, è possibile trattare il tema dell’architettura con molti approcci diversi, si può praticare la disciplina attivamente, progettando e costruendo, oppure in maniera più riflessiva analizzando, descrivendo e rappresentando la realtà e il rapporto che l’ambiente costruito e disegnato ha con essa.
Con le mie fotografie mi sono spesso rivolto al paesaggio naturale o al contrario al costruito in quanto oggetto. Attraverso il progetto fotografico sull’Armenia invece mi sono dedicato molto di più a rappresentare le relazioni che sussistono tra i vari elementi che compongono la dimensione reale e come le persone vivono queste relazioni. Tutto ciò parte proprio dagli insegnamenti durante gli studi di architettura, in cui credo che la cosa più importante che mi abbiano insegnato sia proprio l’osservazione e l’analisi dei luoghi che attraversiamo, come li utilizziamo, che significato abbiano ora o abbiano avuto storicamente. Probabilmente l’Architettura è anche questo, solo un’attenta indagine di ciò che ci circonda, e il progetto architettonico è l’elemento che viene generato in sua conseguenza quasi naturalmente.
Attualmente mi occupo di fotografia in vari settori, a partire dal commerciale in ambito artistico, fino alla post produzione di immagini non mie, passando dalla fotografia di scena. Collaboro con il fotografo Giovanni Hänninen, a cui devo quasi tutta la mia formazione in questo campo. Ovviamente il mio modo di fotografare deriva anche dalle esperienze vissute con lui, spesso in viaggio in paesi molto distanti sia geograficamente che culturalmente. Il viaggio come attività lavorativa è sicuramente molto stimolante e interessante, di certo vorrei che questa componente rimanesse presente nella mia vita, ma senza che sia una costante da cui dipendere. Non intendo fare progetti unicamente di fotografia di viaggio in senso stretto, ma preferirei viaggiare con uno scopo: essere presente in una città su commissione e avere un motivo ben preciso, ciò permette di scoprire luoghi a cui non è possibile accedere da turista o viaggiatore autonomo. Ma allo stesso tempo mi piace anche viaggiare per conto mio, il che consente invece di avere una libertà assoluta negli spostamenti e nelle tempistiche, quindi anche il fatto di non precludersi nessuna possibilità di incontri e scoperte inaspettate.