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Una delle novità di Chora è l’assegnazione del premio “Staff Pick” ovvero il riconoscimento ad un progetto, ad un creativo o ad un’iniziativa che riteniamo socialmente rilevante e attuale.
Non potevamo essere più felici di assegnare il nostro primo riconoscimento a “SEADS” start up che s’impegna per combattere l’inquinamento da plastica nei fiumi del mondo.
Ci siamo imbattuti e abbiamo personalmente conosciuto Fabio Dalmonte, il fondatore di SEADS, all’evento “Life in Plastic: it’s not fantastic” di Trieste dove in modo diverso si parlava del problema su scala mondiale dell’inquinamento.

Ciao Fabio è un piacere averti con noi di Chora, raccontaci un po’ del vostro progetto SEADS?
Come funziona?

Le barriere che stiamo progettando sono barriere galleggianti, rigide e resistenti a sufficienza da poter
essere considerate una soluzione definitiva, che quindi possano resistere a qualsiasi condizione del
fiume e a oggetti di grosse dimensioni trasportati dalle correnti, come ad esempio alberi.
Per realizzarle abbiamo valutato diversi materiali e le plastiche sono risultate il materiale migliore.
Quindi sarà la plastica che ferma la plastica. Ovviamente sarà plastica riciclata e riciclabile. Le barriere,
che sprofonderanno per un metro circa sott’acqua, avranno inoltre una struttura interna che rinforzerà
la capacità di supportare correnti e tronchi.
Parlo di “barriere” al plurale, perché dovranno essere almeno due. Infatti, vogliamo che l’impatto sul
fiume sia il minore possibile, quindi essendo due, le barriere possono essere sfalsate in modo da
consentire il normale passaggio di barche e pesci. Saranno posizionate in diagonale rispetto al flusso
dell’acqua, in modo da creare una corrente che trasporterà i rifiuti verso il lato del fiume, dove verrà
costruito un bacino di collezione in cui gli scarti verranno accumulati, prelevati e avviati alla selezione.
In più, vorremmo che i centri di selezione che costruiremo accanto alle barriere si potessero espandere
per accettare rifiuti che provengono anche da zone limitrofe urbane e industriali, così da produrre
profitto per le comunità locali e aumentare in modo consistente la qualità della gestione
dell’immondizia.
Ma il progetto potrebbe portare anche benefici sociali: infatti, a Giacarta e in generale nei Paesi in via di
sviluppo ci sono tante persone povere che raccolgono i rifiuti autonomamente per riciclare i materiali e
trarne profitti, e questi individui offrono un ottimo servizio alla comunità. Uno degli obiettivi paralleli al
progetto è infatti quello di coinvolgerli nelle attività che verranno create attorno alle nostre barriere,
perché il materiale raccolto andrà selezionato per essere avviato a riciclo, e questa selezione creerà
posti di lavoro. Vorremmo quindi fare in mondo che il Governo includa queste realtà “informali” nel
sistema di raccolta dei rifiuti, dando loro anche condizioni di lavoro adeguate e sicure rispetto a quelle
attuali. Così, il beneficio sarebbe ambientale ma anche sociale.

Quando è nata l’idea di agire sui fiumi?

Circa quattro anni fa ho svolto uno studio a Giacarta, in collaborazione con la University of the West of
Scotland e University of Indonesia, finalizzato a valutare lo stato di inquinamento del fiume Ciliwung
che passa attraverso Giacarta, ma anche per fare un punto della situazione sullo stato della gestione dei
rifiuti in quella città.
Durante questo periodo ho avuto la possibilità di capire come funziona e quali sono i principali
problemi. Era piuttosto evidente la quantità di rifiuti che finivano nei fiumi e nel mare, che si
accumulavano nelle isole davanti al golfo di Giacarta rovinando spiagge, influendo sul turismo,
causando problemi di sostentamento alle comunità locali e ovviamente anche problemi ambientali
come la riduzione della popolazione ittica sia nel mare che nei fiumi.
Quindi ho iniziato a pensare a come si potesse risolvere questa situazione a partire dalla causa,
naturalmente individuabile nella troppa produzione e nel poco riciclo della plastica, che facilmente
viene dispersa nell’ambiente e in particolare nei fiumi. Non potendo agire direttamente sulle abitudini
dei cittadini, ho pensato di agire sui fiumi.

A che punto siete attualmente?

Con la collaborazione dell’Universita’ di Firenze stiamo ultimando gli studi per dimensionare le barriere ai
fiumi piu’ grandi. Nei laboratori dell’universita’ stiamo sviluppando simulazioni digitali e test fisici sulle
barriere sottoponendo la struttura a forti spinte che simulano le condizioni peggiori di piena che si
potrebbero verificare nei fiumi dove le barriere verranno installate.
Conclusa questa parte saremo pronti a produrle in scala industriale.
In contemporanea, dopo un processo di selezione organizzato da MassChallange che ha visto la scrematura
di 1300 start-up di tutto il mondo, siamo stati selezionati tra i 90 finalisti e in questo momento stiamo
partecipando ad un programma di accelerazione d’impresa in Svizzera. Questo ci dara’ sicuramente la
possibilita’ di espandere il nostro network e raggiungere quei fiumi che piu’ ne hanno bisogno piu’
velocemente.
Ci stiamo occupando anche della parte riguardante la comunicazione, il marketing e le relazioni, queste
ultime molto importanti dal momento che ci interfacciamo con i Governi, ed entrarci in contatto non è
sempre facile.
Dal punto di vista tecnico abbiamo sviluppato diverse varianti rispetto al brevetto, ad esempio abbiamo
preso in considerazione la possibilità di utilizzare barriere di bolle, che escono da tubi con buchi posizionati
in fondo al fiume che potrebbero essere utilizzate in concomitanza con le barriere classiche. Insomma,
stiamo cercando di avere a disposizione un portfolio con tante soluzioni, per adattarci il più possibile a tutti
i casi che incontreremo, sempre cercando di sviluppare le soluzioni più semplici e piu’ sostenibili.
Infatti, la semplicità è fondamentale per tanti motivi: intanto perché produce impatti inferiori, ha costi
inferiori e soprattutto vogliamo che questa sia una soluzione definitiva, a lungo termine. È quindi
necessario che il Governo locale abbia la possibilità di mantenere operativa la soluzione che proponiamo.
Molto spesso purtroppo, nei Paesi in via di sviluppo le soluzioni vengono portate dall’esterno e quando i
fondi finiscono non ci sono le possibilità per continuare a sfruttare quella soluzione, tutto si blocca e noi
vogliamo fare in modo che questo non accada.
Al momento stiamo andando avanti con il progetto per installare le barriere a Giacarta. Il Governo ha
confermato la volonta’ di installare le prime barriere nel Ciliwung river e appena i fondi verranno stanziati
incominceremo la fase dell’installazione.
Oltre all’Indonesia stiamo portando avanti la discussione con altri Governi tra cui l’Egitto, il Vietnam, la
Thailandia, India, Argentina e Brasile.
Ovviamente si parla di fiumi che sono caratterizzati da condizioni molto impegnative, ma la soluzione è
semplice, e fino ad ora i risultati hanno dimostrato la validita’ dell’idea e le sue potenzialita’. Il fatto che così
tanti rifiuti siano concentrati in pochi fiumi è sì un dato negativo, ma offre anche un potenziale
elevatissimo. Agendo su pochi corsi d’acqua si può ottenere un risultato enorme in tempi limitati e con
investimenti piuttosto bassi.

Avete seguito la vicenda di Ocean Clean Up?

Si’ certamente e con molto interesse. Sarebbe fantastico se ci fosse un modo per recuperare quelle
plastiche che stanno gia’ inquinando i nostri oceani. Purtroppo l’impresa non e’ per nulla semplice, le forze
che devono affrontare le strutture installate nell’oceano sono enormi e le condizioni sono incredibilmente
avverse.
Inoltre, la struttura ideata raccogliera’ solo le Macro-plastiche galleggianti, ma la maggior parte del
materiale plastico e’ ormai nei fondali. Infatti se nei fiumi le platiche sono rimaste in acqua per poco tempo
e quindi in stragrande maggioranza galleggiano, in mare col tempo alche e organismi colonizzano le
plastiche e le fanno affondare.
Purtroppo, il primo tentativo di Ocean Clean Up non e’ andato a buon fine, ci sono stati problemi nella
valutazione delle velocita’ delle correnti: in sintesi la struttura veniva trasportata piu’ velocemente rispetto
alle plastiche e quindi non le raccoglieva, inoltre forti tempeste si sono dimostrate un problema.
La struttura e’ stata quindi portata in porto e sono state fatte modifiche.
Spero che possano avere successo perche’ le plastiche che gia’ si sono accumulate nell’oceano sono una
quantita’ preoccupante. Nonostante puntino a raccogliere solo le plastiche in superficie se funzionera’ sara’
sicuramente un altro tassello verso la salvezza degli oceani.

 

Una volta fermati i rifiuti dalle barriere chi si preoccupa della raccolta dello smaltimento di questi?

Questo e’ un aspetto che ci sta molto a cuore e in cui ci stiamo impegnando molto al fine di trovare le
soluzioni migliori.
Diverse soluzioni verranno adottate a seconda del paese in cui verranno installate le barriere.
In paesi in via di sviluppo la quantita’ di plastica raccolta ci permettera’ di rendere il processo di recupero
profittevole. Il materiale verra’ trasportato a centri di selezione dove le plastiche verranno separate dalla
parte organica. Le plastiche verrano poi avviate al riciclo.
Anche la parte organica, soprattutto il legno sara’ utilizzata. Tramite gassificazione e’ possibile produrre
energia senza immettere CO2 fossile in atmosfera inoltre il carbone che viene prodotto (chiamato Biochar)
fissa l’anidride carbonica catturata dall’atmosfera dagli alberi e puo’ essere utilizzato come ammendante
(migliorando la qualita’ dei terreni agricoli). Il Biochar infatti puo’ durare nel terreno per migliaia d’anni, cio’
vuol dire che la CO2 catturata dall’atmosfera non contribuira’ piu’ all’effetto serra.

Possiamo sperare di vedervi agire anche su fiumi nostrani?

Sicuramente si’, stiamo discutendo la possibilita’ dell’installazione delle barriere con 5 regioni e autorita’ di
bacino. Stiamo incontrando molto interesse e volonta’ di agire per portare soluzioni a questo problema che
purtroppo non risparmia neanche l’italia. Infatti, nell’Adriatico e nel Mediterraneo sono state rilevate
concentrazioni di plastiche comparabili alle famigerate isole di plastiche negli oceani. Un punto
particolarmente critico dove sono state rilevate le piu’ alte concentrazioni in mari nostrani e’ tra la toscana
e la Corsica proprio al centro del santuario dei cetacei.
7) SEADS si preoccupa concretamente di recuperare i rifiuti già presente nei fiumi. Secondo te per0’ in
quali modi può essere frenato al principio il problema dell’inquinamento da plastica?
La soluzione purtroppo non e’ una, e’ necessario agire a diversi livelli: pulendo gli oceani, impedendo che le
plastiche entrino negli oceani tramite i fiumi, migliorare la raccolta per impedire in primo luogo che le
plastiche vengano raccolte dai fiumi e diminuire l’uso di plastiche

 

Per avere maggiori informazioni su Seads:

 Seads Sea Defence Solutions

 Seads 

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