Ciao Davide, come Chora adoriamo le tue illustrazioni. Quando hai iniziato a disegnare? Da dove nasce questa tua passione?
Ho iniziato a disegnare da bambino, come tutti. Ricordo la bellissima sensazione che provavo nel riempire i fogli bianchi di scarabocchi colorati, era quasi una magia. Ricordo anche la frustrazione derivata dalla consapevolezza di non saper disegnare bene. Crescendo ho coltivato questa passione da autodidatta, con qualche lezione privata di disegno e pittura durante gli anni del liceo classico. I miei studi umanistici mi hanno portato lontano dal disegno, ma una volta laureato all’Università di Bologna in Lettere moderne ho deciso di riprendere in mano la mia originaria passione per il disegno: ho scoperto l’illustrazione prima allo IED di Milano e poi all’Accademia di Belle Arti di Bologna, me ne sono innamorato e ho capito che quella doveva essere la mia strada.
Quali sono le principali fonti d’ispirazione dei tuoi lavori?
In generale guardo molto alla cultura pop anglosassone, ma mi sento influenzato da praticamente tutto quello che vedo.
Come descriveresti il tuo stile? Lo hai affinato negli anni o è rimasto immutato fin dall’inizio?
Direi che il mio stile è funzionale ad esprimere una narrazione chiara, diretta e precisa. Con gli anni è diventato più elaborato, ho affinato il gusto per la descrizione di ambientazioni e atmosfere. Mi piace sempre inserire elementi surreali e metafore visuali che spiazzino lo spettatore. All’inizio della mia carriera invece lavoravo in modo totalmente diverso, anche tecnicamente, mescolavo medium diversi con risultati sempre freschi e inaspettati. Tuttavia questo rendeva il lavoro su commissione poco controllabile, e con l’andare del tempo, sempre meno sostenibile. Stavo lentamente perdendo la passione per questo mestiere, così a un certo punto ho cambiato rotta e sono ripartito da zero, cercando uno stile illustrativo più sintetico e concettuale.
Le tue illustrazioni spaziano su innumerevoli temi. Come approcci ogni tuo nuovo lavoro?
Ogni lavoro richiede studio. Quando lavoro su commissione e mi arriva una storia da illustrare, devo leggerla attentamente e assimilarla per bene se voglio fare un’illustrazione azzeccata. Questo è il primo, fondamentale step, che richiede concentrazione e silenzio intorno a me. Ci vuole anche un certo rispetto verso il soggetto che ho di fronte, ragione per cui non credo che si possa fare un buon lavoro se le nostre profonde convinzioni sono contrarie al tema dato. Una volta recepito il messaggio passo alla fase di brainstorming, in cui scarabocchio su un foglio tutto quello che mi viene in mente, poi seleziono qualche idea che potrebbe funzionare e la mando al cliente. Se piacciono procedo col disegno definitivo a colori, che è la fase più divertente e artistica del processo, durante la quale posso rompere il silenzio e ascoltare della musica o un film. Ho lo stesso approccio anche quando lavoro a un progetto personale.
In Italia svolgere un lavoro creativo non è facile. Le tue illustrazioni sono presenti su testate importanti nazionali e internazionali come il The New York Times, Wired, The Economist, Einuadi, L’Espresso e Internazionale, giusto per citarne alcune. Quale consiglio ti sentiresti di dare a un/una giovane aspirante illustratore/illustratrice?
Il consiglio è sempre quello di migliorarsi ogni giorno di più, e non scoraggiarsi di fronte alle prime inevitabili difficoltà. Se si lavora sulla qualità del proprio portfolio, e sul proprio spessore artistico, il lavoro arriverà. Trovo che sia fondamentale leggere, guardare i maestri dell’arte, del cinema, del design, del fumetto, di tutte le arti grafiche, non basta essere aggiornati sulle ultime tendenze. Una volta fatto questo, non bisogna essere timidi a proporsi.