Attenzione: sono presenti SPOILER dei film analizzati
Jean Cocteau un tempo disse:
“Esiste un cinema prima e dopo «La Rosa sulle Rotaie», così come esiste una pittura prima e dopo Picasso”
Così se volessimo adattare una frase storica come questa ad un altro contesto come il cinema in Iran, dovremmo dire che esiste un cinema iraniano prima e dopo Kiarostami e se volessimo approfondire quel ‘dopo’ allora quel cinema sarebbe rappresentato senza dubbio da registi di fama internazionale come Jafar Panahi e Asghar Farhadi. Il cinema di quest’ultimo però sembra distaccarsi dalla tradizione cinematografica inaugurata da Kiarostami e dalle tematiche sociali e antropologiche portate avanti dal maestro e da Panahi che a lui si ispira.
L’eccezionalità di Asghar Farhadi sta nel essere riuscito a realizzare un cinema a prima vista legato ai problemi mediorientali, ma dal profondo respiro internazionale. Le sue storie, come vedremo, non sono storie circoscritte al solo Iran o ai paesi del Medioriente, bensì storie che un europeo, un americano o un asiatico riconoscono come verosimili anche nel loro mondo. In questo, il cinema di Farhadi opera un vero e proprio smarcamento da quella tradizione di cui si diceva sopra, sempre e costantemente alle prese con la censura governativa a causa della tenace critica ai paradossi culturali del paese.
Ciò che si andrà ad analizzare è quindi la produzione del regista nel suo paese natio: About Elly (2009), Una Separazione (2010) e Il Cliente (2016).
Le storie scritte e dirette da Farhadi hanno una struttura comune: tutte iniziano con una situazione corale di equilibrio (o di falso equilibrio nel caso di Una Separazione, dal momento che si scopre che l’abbandono dal nucleo familiare della madre è solo un trucco per convincere il marito a seguirla in Europa), a questa situazione succede una rottura, la quale determinerà la catena di azioni e scelte dei personaggi in scena. Come si può notare è una struttura semplice, tipica del dramma moderno. Farhadi si concentra sulle falle della personalità dei personaggi, sulle reazioni dei suoi soggetti e sul peso delle loro parole e delle loro considerazioni. La sua lente d’ingrandimento è puntata sui loro volti con l’obiettivo di recuperare ogni smorfia, ogni crepa di quella maschera che con tanta difficoltà cercano di mantenere.
L’equilibrio iniziale è solitamente retto da un semplice gioco di sguardi o da comuni attività collettive, è evidente in About Elly dove per l’intera mezz’ora iniziale i personaggi non restano mai soli e sono soggetti di una scherzosa presa in giro che rende forte e compatto il gruppo, ne Il Cliente le prove della compagnia teatrale prevedono inizialmente degli esercizi collettivi di sinergia tra i componenti ed è nuovamente presente lo scherno amichevole tra gli amici, anche in Una Separazione è presente un intenso gioco di sguardi che avviene in modo indiretto, il contatto visivo non è costante, ma sia Nader che Simil sanno di essere l’oggetto dello sguardo del relativo coniuge ed è proprio questa tensione al ‘chi la dura la vince’ che produce l’equilibrio: entrambi i personaggi sono sotto scacco e non possono crollare.
Poi improvvisamente la rottura. Ed è con questa che Farhadi opera la sua prima caratterizzazione, tutto è determinato dal brusco interrompersi del contatto visivo tra i vari personaggi e tra spettatore e rappresentazione. Il fatto non ci viene mai mostrato, Farhadi ci lascia con le nostre convinzioni e con i pochi dettagli che siamo riusciti a carpire negli istanti precedenti alla rottura. Quello che succede in quel momento così determinante per lo sviluppo successivo della pellicola non è noto a nessuno, ognuno possiede un pezzo di quella verità e lotta per mantenerlo. Viene applicata quella che chiamerei ‘sequenza black out’, in parole povere immaginiamo di essere a cena con degli amici, d’un tratto salta la corrente e nel buio si sente il rumore di una bottiglia che si rompe, ovviamente nessuno ha visto nulla, nessuno sa più di quello che egli stesso ha fatto in quei trenta secondi di buio assoluto eppure bisogna scoprire chi ha rotto la bottiglia ed ecco che ognuno di noi cerca di difendere la sua posizione come può, accusando altri per congetture verosimili o meno, ma chi può verificare quali siano le prime e quali le seconde? Ecco che la ‘rottura’ di Farhadi procede esattamente in questo modo, ognuno difende la sua posizione ad oltranza e le azioni che il personaggio porta avanti per farlo condizioneranno l’idea che gli altri si erano fatti di lui. In About Elly tutti i personaggi sono impegnati in una partita di pallavolo ed Elly rimane da sola a custodire i bambini che giocano sulla spiaggia, pochi minuti dopo di lei non si saprà più nulla, in Una Separazione Nader allontana da casa sua Razieh, la governante, salvo poi venire a sapere che Razieh è stata ricoverata in ospedale perché ha perso il bambino che portava in grembo, ne Il Cliente, Rana apre la porta incautamente, sicura dell’arrivo del marito, ma Emad rientrerà più tardi e constaterà l’aggressione svoltasi in casa sua ai danni di sua moglie. Solo a questo punto Farhadi comincia ad architettare quella che apparirà agli occhi dello spettatore come una vera e propria ‘guerra bianca’, ovvero fatta di insinuazioni e calunnie, di incomprensioni e segreti. La rottura porta i personaggi a non potersi più fidare l’uno dell’altro. Così vengono alla luce vecchi scheletri nell’armadio e le accuse diventano le armi che servono a scalfire i personaggi.
In questa fase viene inserito poi l’aspetto morale, ovvero quell’aspetto che passo dopo passo metterà a dura prova quelli che si riveleranno essere i veri protagonisti della vicenda, i possessori di quella mezza verità. Il cinema della verità di Farhadi colpisce proprio quando gli uomini sono messi davanti alle responsabilità, come le gocce che a furia di cadere scalfiscono la roccia. Nel cinema di Farhadi non ci sono mai vincenti, nessuno ne esce tutto d’un pezzo, si è tutti perdenti in un modo o nell’altro; l’incendio appiccato da coloro che hanno ‘rotto la bottiglia’ colpisce tutti e crea terra bruciata intorno a loro. Le vittime morali del regista iraniano non sono mai le vittime fisiche, quelle che sono state l’oggetto della ‘rottura’, bensì quelle che fino a quel momento sventolavano il vessillo dell’innocenza.
In About Elly, Sepideh è costretta ad un intenso colloquio finale con il fidanzato di Elly che chiede spiegazioni, il suo ragazzo domanda “L’ha detto o non l’ha detto, Elly, che era fidanzata?”, il “No” che seguirà avrà un peso incalcolabile, Sepideh si spoglia della sua colpa macchiando l’onestà di Elly, ormai trovata morta, e colpendo moralmente il fidanzato che vivrà per sempre con la convinzione che Elly lo stesse lasciando; in Una Separazione la figlia di Nader conosce la verità, conosce le colpe del padre, ma chiamata a testimoniare davanti al giudice sceglie di proteggerlo, così, alla domanda “Tuo padre sapeva che Razieh aspettava un bambino?” lei risponde “No, non lo sapeva”, un altro “No” pesante e determinante, perché quella negazione rappresenta l’entrata nel mondo degli adulti, un mondo di responsabilità e di segreti scomodi e rappresenta allo stesso tempo la condivisione della colpa che si allarga anche a lei che è ora vittima morale della vicenda. È un attimo perdere la credibilità che ci siamo conquistati nella vita e Farhadi ce lo mostra con una freddezza glaciale: In About Elly Sepideh lotterà per sempre con il rimorso di aver mentito a quel ragazzo, ha tradito se stessa e convivrà con le conseguenze del suo gesto; in Una Separazione, Termeh, la figlia, rivaluta in un certo senso negativamente la figura del padre e questo la porta a decidere con chi continuare la sua vita, lei che ha sempre appoggiato il padre in quel tormentato divorzio; Ne Il Cliente, Rana osserva con i suoi occhi il cambiamento di suo marito, accecato dalla vendetta per quel fatto che la moglie stessa stava cercando di lasciare alle spalle raccogliendo i cocci di quel matrimonio che andava disintegrandosi (Indicativo lo scambio di battute tra Emad ed un suo allievo: “Professore, come si fa a diventare animali?” “Semplicemente con il tempo”.). Durante About Elly poi, Farhadi ci consegna una frase:
“Un finale amaro è meglio di un’amarezza senza fine”
Qui forse si capisce davvero dove Farhadi vuole arrivare: una frase che non preannuncia solo l’esito triste della pellicola in questione, ma l’esito di tutti i suoi film. Un finale amaro è infatti l’unico finale che può essere concepito in questa equilibrata struttura, resta poi l’amarezza, quella che portano dentro tutti i personaggi che compaiono nei suoi film, un’amarezza che non appartiene al film in sé, ma all’umanità da lui rappresentata, un’umanità che riconosciamo perché quelle di Farhadi sono parabole umane universali.
Come un mare in burrasca il dramma farhadiano travolge l’Uomo e rilascia il corpo sulla spiaggia, ciò che resta è un’auto impantanata nel fango, una coppia in attesa divisa da una porta in vetro e una donna che camminando su un marciapiede si allontana da quello che ormai considera il suo passato.